Mettersi nei panni degli altri versus contatto

Si sente spesso dire di "mettersi nei panni degli altri", un'espressione che suggerisce di cercare di capire come si sentirebbe una persona in una determinata situazione, mettendo da parte il proprio punto di vista e cercando di assumere quello dell'altro. Questo approccio sembra un atto di empatia, un tentativo di comprendere le emozioni e le reazioni di un'altra persona, ma è più complicato di quanto sembri.

Il problema principale di questa espressione è che, pur volendo avvicinarsi all'esperienza dell'altro, rischiamo di proiettare le nostre emozioni, convinzioni e vissuti sulla situazione dell'altro. In altre parole, anziché comprendere veramente ciò che l'altro sta vivendo, finiamo per interpretare la sua esperienza attraverso il nostro personale filtro. La nostra visione del mondo è influenzata dalle nostre esperienze e dalla nostra soggettività, e non è universale: ciò che per noi potrebbe sembrare una reazione naturale, per l'altro potrebbe non esserlo affatto.

Un altro limite del "mettersi nei panni degli altri" è che può portare a semplificare eccessivamente una situazione complessa. Ogni persona ha un proprio sistema di valori, emozioni e storie personali, e ridurre la sua esperienza a ciò che "noi" pensiamo che proviamo in una situazione simile rischia di sminuirne la profondità e l'unicità. Inoltre, questo tipo di approccio potrebbe anche creare un certo distacco emotivo, dove l'empatia diventa più un esercizio mentale piuttosto che una vera connessione emotiva.

Un'alternativa più autentica potrebbe essere quella di non 'mettersi nei panni' dell'altro, ma di cercare di entrare in contatto con lui nel 'qui e ora', come suggerito dalla Gestalt. Privilegiare l'ascolto attivo, senza cercare di adattare la situazione ai nostri schemi mentali, consente di stabilire una connessione più genuina, profonda e rispettosa della sua unicità, creando spazio per una comunicazione veramente empatica e comprensiva.