Impotenza appresa: quando la mente dimentica la propria forza

11.06.2025


«Il cucciolo d'elefante, legato fin da piccolo a un palo, cresce pensando di non potersi mai liberare. Anche quando diventa adulto, abbastanza forte da spezzare la corda, non ci prova più.»
Con questa intensa metafora, lo psicoterapeuta gestaltista Jorge Bucay descrive efficacemente il fenomeno dell'impotenza appresa, un meccanismo psicologico che può segnare profondamente lo sviluppo emotivo, cognitivo e motivazionale di una persona.

Che cos'è l'impotenza appresa

L'impotenza appresa è una condizione psicologica in cui un individuo, dopo aver sperimentato ripetuti fallimenti o esperienze dolorose percepite come incontrollabili, arriva a credere che i propri sforzi siano inutili. Questa convinzione, anche quando non più fondata, può perdurare nel tempo e portare a passività, rassegnazione e blocco evolutivo, ostacolando le naturali capacità di crescita e cambiamento.

È importante chiarire che non si tratta di un processo lineare di causa-effetto. L'insorgere dell'impotenza appresa dipende da una complessa interazione tra fattori cognitivi, emotivi, relazionali e ambientali.

Quando inizia: l'origine nell'infanzia

Le radici dell'impotenza appresa possono formarsi fin dall'età prescolare. Bambini esposti a critiche eccessive, perfezionismo genitoriale o all'affetto condizionato ai risultati ottenuti, sviluppano spesso un'immagine negativa di sé. In assenza della capacità cognitiva per attribuire i fallimenti a fattori esterni (come la mancanza di esperienza o l'impegno), interiorizzano l'idea di "essere sbagliati".

Anche esperienze avversive come il bullismo, difficoltà scolastiche o discontinuità affettive minano il senso di autoefficacia. Il risultato è una progressiva rinuncia alla sperimentazione, per paura di fallire ancora.

Le basi neurobiologiche dello scoraggiamento

Studi recenti, in particolare quelli condotti da Steven Maier, hanno rivelato le basi neurobiologiche dell'impotenza appresa. L'attivazione cronica dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), responsabile della risposta allo stress, aumenta i livelli di cortisolo, con effetti deleteri sul cervello.

In particolare, si osserva una disfunzione della corteccia prefrontale mediale, che compromette la capacità di pianificare e regolare le emozioni. Di conseguenza, si attivano strutture profonde come l'amigdala e la sostanza grigia periacqueduttale, legate alla paura e ai comportamenti di fuga. Questo sistema disorganizzato può generare passività, anedonia (incapacità di provare piacere), e sintomi depressivi.

Conseguenze e rischi evolutivi

Chi vive in uno stato cronico di impotenza tende a cercare costantemente approvazione dagli altri, ma questo comportamento, paradossalmente, può portare a rifiuto sociale. Per paura di sbagliare, si evitano nuove esperienze, rinunciando a opportunità significative di crescita. Inoltre, lo stress cronico abbassa le difese immunitarie, rendendo l'organismo più vulnerabile.

In adolescenza, l'impotenza appresa può sfociare in depressione, ansia, isolamento e, nei casi più gravi, anche in comportamenti auto-lesivi o anticonservativi.

La Gestalt

Secondo la psicoterapia della Gestalt, l'impotenza appresa rappresenta una "gestalt aperta": un'esperienza che non è stata pienamente vissuta né integrata, diventando così una struttura rigida e cristallizzata.

La Gestalt, detta anche "terapia dell'esperienza", si basa sul ciclo di contatto, articolato in quattro fasi:

  • Pre-contatto (emergere del bisogno),
  • Presa di Contatto (il bisogno è in figura),
  • Contatto pieno (azione volta alla soddisfazione del bisogno),
  • Post-contatto (ritiro e assimilazione).

Quando il ciclo viene interrotto, spesso in modo inconsapevole, si generano sintomi nevrotici, interpretati come adattamenti creativi del passato che oggi non funzionano più.

Il compito del gestaltista è rinforzare il sé e stimolare nuove modalità di contatto con l'esperienza. Come affermava la gestaltista Violet Oaklander, un bambino con gestalt fisse non ha bisogno di essere riparato, ma di vivere esperienze autentiche che lo aiutino a sentirsi integro e capace.

Il ruolo dello psicologo e della relazione terapeutica

Intervenire precocemente è fondamentale per favorire un cambiamento efficace e duraturo. Lo psicologo dispone di diversi strumenti per comprendere la situazione della persona, ma la vera leva del cambiamento è la relazione terapeutica che riesce a instaurare, non solo con il paziente, ma anche — quando necessario — con il contesto relazionale di riferimento.

Nel lavoro con persone, è importante affrontare eventuali resistenze o pregiudizi legati alla terapia e costruire un'alleanza basata sulla fiducia, sull'ascolto empatico e sul rispetto della riservatezza. Solo in un ambiente sicuro e non giudicante, infatti, l'individuo può aprirsi all'esperienza del cambiamento e riconquistare la propria autodeterminazione.


Oltre la corda invisibile

L'impotenza appresa non è una condanna, ma una condizione psicologica che può essere compresa, attraversata e trasformata. Grazie all'approccio gestaltico, è possibile riprendere contatto con sé stessi, con i propri bisogni, desideri e risorse interiori. Attraverso esperienze relazionali autentiche e un percorso terapeutico mirato, le persone possono riscoprire la libertà e la forza che credono di non avere.

Non come l'elefante della metafora di Bucay, che continua a credere che quella corda sia una catena impossibile da spezzare, ma diversamente: imparando a guardare quella corda con occhi nuovi, a riconoscerla per ciò che realmente è — un limite ormai superabile.
Il cambiamento comincia proprio nel momento in cui si smette di credere che ogni sforzo sia inutile.




Margherita Montalbano - P.IVA 12513020011

Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia